• Sorbo

    Mauro Fusar Poli

    Aspro sorge al ciglio del tempo,
    forte di frutti che il gelo accarezza.
    Lenti maturano, dolcezza raccolta,
    dove il gioir s’insempra e mai si spezza.

    Non brucia d’ardore che tutto consuma,
    ma cresce nel soffio di chi sa aspettare.
    Nel ramo che il druido sceglie e profuma,
    vive il sapere di chi sa dell’amare.

  • Cuore Verde

    Mauro Fusar Poli

    Non ho il pollice verde,  
    ma il cuore sì,
    che batte al ritmo del vento tra le fronde.
    Non so far crescere piante in piccoli vasi,
    ma mi immergo in boschi incantati,
    là dove l'aria si colora di luce
    e le radici affondano nei sogni.


    Mi bagno di foglie cadenti,
    gialle come un tramonto,
    e sotto la loro pioggia asciutta,
    mi rinfresco,
    come se ogni loro caduta
    fosse un dono, una carezza.


    Gli alberi respirano per me,
    i loro racconti sono sussurri che riempiono il tempo,
    mi parlano dei giochi fatti con la luna
    e delle storie d'amore con le stelle.
    Rabbrividiamo insieme
    quando l'autunno canta la sua ballata,
    mentre le fronde danzano.


    Vorrei abitare in un tempo senza ore,
    dove il sole sorge solo per scomparire tra le radici.
    Vorrei invecchiare con loro,
    diventare rugoso, nodoso,
    fino a confondermi con la corteccia,
    parte del tronco,
    parte del tutto.
    Radicarmi,
    e scomparire nel verde,
    eterno, silenzioso,
    felice.
  • Sussurri del Bosco

    Mauro Fusar Poli

    In apnea nel bosco, per tornare a respirare,
    connesso alla rete di radici sotto le cortecce,
    cervello e linfa che tutto intreccia,
    nasce una vita che non si può fermare.

    Le piante donano cure a chi è in difficoltà,
    aiutano amici caduti con generosità.
    Anche i funghi, mondo sconosciuto,
    danno vita all’orchidea e al suo seme muto.

    Pigne e incendi si svegliano dai sogni,
    cresce una nuova gemma dai doni
    degli alberi nonni, antichi e buoni.

  • Ritorno alla natura

    Mauro Fusar Poli

    Fuggi da questa pianura velenosa,
    industrie, scarichi, baccano.
    Trova rifugio in un bosco,
    ascolta il canto del ruscello,
    fino allo sfinimento dei sensi.
    In quella dolce stanchezza,
    le nuove radici ti ricaricheranno.
  • L’uovo

    Gaia Incarbone 

    Io non sono un albero, ma lo ero;
    e non ho più le foglie, ma le avevo.
    Vivevo nel tronco dell’ebano nero;
    nel bianco del ramo del faggio coevo.

    Io sono già stata ramo e poi trave;
    ed un mollusco nel grembo del mare.
    Io sono già stata rame e poi chiave;
    ed ape nel cielo di un alveare.

    Ho letto ogni libro, ascoltato ogni canzone;
    parlato ogni lingua, indossato ogni colore;
    sceso, un milione di volte, le scale dell’androne;
    Ed ho morso ed ingoiato, vivo, ogni sapore.

    Io sono stata madre e padre, dolce ed amaro;
    e poi quel mio figlio mai nato, artista e scienziato.
    E, come Ulisse, desidero essere ignaro;
    e poi musa e poeta. L’amante, l’amato.
  • Magic Bus

    Gaia Incarbone

    Ogni tanto è bene alzare gli occhi al cielo,
    con le mani libere ed i piedi sul terreno:
    allontanarsi dalle luci dei cartelli stradali,
    e raccogliere ogni seme, uno ad uno tra le mani.

    E penetrare in ciò che tu chiami deserto:
    come un grande prato color paglia, ricoperto
    di rifiuti e di stelle, abbandonato
    dopo un festival di luci al neon.

    Forse siamo solo esseri dormienti,
    saturi di beni che chiamiamo nutrienti.
    Ma dov’è la stella che il mio ventre vivo,
    ricerca tra ogni roccia e in ogni ulivo?

    Per lei sola, e per le alte creature alate
    e per tutte le più piccole cose mai contemplate,
    che una scarica di luce percorra ogni cavo,
    lasciandoci al buio di un cielo stellato.
  • Salamandra slam

    Gaia Incarbone

    Credevamo questa valle contenesse il mondo intero: 
    che fosse sette volte il mare, quattro volte il terreno;
    sulle strade di catrame, la tua bici era un veliero…
    Ma non è che una provincia dove, forse, passa il treno.

    Oggi ho tre biglietti, due scaffali ed uno scatolone
    ed ho le ossa della schiena già ricurve di sudore.
    E con questo pago il bollo, la passata ed il sapone,
    in cambio dello scrocchio colorato dei semi delle more sotto i denti.

    In cambio dello scroscio lento dei ruscelli
    e poi dei prati con i funghi a far da case per le serpi;
    e del nostro corpo al sole, con la noia tra i capelli.
    Con il rischio di annoiarvi, nel mio straparlare di sterpi,

    io qui rivendico: il guizzo argentato delle anguille,
    nei solchi di sabbia; il balzo dorato delle salamandre
    come vermi di gomma e caramello tra le tue papille,
    rubati e poi mangiati, nascosti. Tra fiori di solandre

    vorrei essere: polpa che si sfalda, gheriglio che si spezza,
    legna dura che crepa la pece morta di cui è sommersa,
    paglia, stoppa e stelo dentro ad una bambola di pezza,
    Ma non potrei essere, casa senza quasi essermi persa.

    Persa nell’odore nero del bitume, che cola in chiazze,
    giù: nel torrente della nostra infanzia, tra le foglie arse.
    Mi dico: voglio far qualcosa per quest isola, nelle piazze:
    per te, per me e per gli alberi, tra le dolci acque sparse.